L'esperienza di partecipazione alla Lavaredo Ultra Trail di Domenico Giosi

“Fare una gara ultra-Trail è diverso. È un viaggio, una esperienza indimenticabile e sempre diversa dalla precedente”. Si potrebbe riassumere così il pensiero di Domenico Giosi, giovane atleta dell’hinterland romano che ha appena terminato il “Lavaredo Ultra Trail” con un prestigiosissimo 30 posto e primo di categoria.

Classe 1983, lavora al Coni, curando i cavalli per la nazionale di Pentathlon. Ha iniziato a fare Trail running nel 2017, anno prima del quale aveva sempre fatto attività sportiva giocando a calcio.

La storia di Domenico è particolare ma allo stesso tempo speculare, nel senso che riflette forse una tipologia di atleta di Trail semplice e focalizzata “sull’esperienza” del Trail piuttosto che sulla tecnicità e la performance (“che comunque rimangono sempre presenti” ci tiene a sottolineare Domenico).

Domanda: Domenico, cosa ti ha spinto a lasciare il pallone e a inforcare sentieri di montagna?

Risposta: È stato dopo un brutto periodo della mia vita, cose particolari, un lutto…insomma ad un certo punto mi è scattato qualcosa e ho cominciato così, da solo, a seguire sentieri in montagna e a correre, quasi a testa bassa, per non pensare. E anche per smaltire qualche birretta di troppo (ride, n.d.r.)

D – Poi però ci hai preso gusto….

R – Sì, è vero, è stato quasi amore a prima vista. Il Trail mi ha portato ad un nuovo punto della mia vita, ho iniziato a controllare l’alimentazione, ad allenarmi con costanza e con metodo e a continuare a sfidare sempre me stesso. Prima ho partecipato ad alcune gare qui in paese, poi sono entrato nella società del Park Trail Abruzzese. Con i primi risultati positivi, ho avuto anche un preparatore a disposizione, Enrico Vitilei, persona a cui devo davvero molto

D - …poi in pochi anni hai macinato chilometri. Hai partecipato alla LUT (Lavaredo Ultra Trail) con un ottimo piazzamento. È stato il tuo primo Trail su una distanza così impegnativa?

R – In realtà no, avevo fatto già il Trail del Lago D’Orta su una distanza simile, anche se la Lavaredo rimane speciale. Alla prima gara ho fatto un tempo di circa 19 ore, visti anche i dislivelli importanti. Lavaredo per è stato molto soddisfacente: sono arrivato 8° tra gli italiani e 30º in assoluto, con un tempo di 15 ore e 35 e sono davvero contentissimo.

D – Tu hai fatto il tuo promo Ultra Trail a meno di un anno di distanza da quando hai iniziato a correre. Lavaredo è già la seconda gara di questa portata. Ma come ci si prepara fisicamente e mentalmente ad una impresa del genere?

R – Si tratta innanzitutto di porsi degli obiettivi e, con la competitività e la volontà che contraddistingue ogni atleta, portare questi obiettivi a termine. Io poi sono per un allenamento che porti a lavorare più sulle “ore” da immagazzinare nelle gambe, rispetto ai km percorsi. Cioè, secondo me, non è importante allenarsi sulla distanza chilometrica, ma fare tante ore in montagna. Per me questo rappresenta un elemento importante, perché quando riesci a stare tante ore nell’ambiente del Trail, riesci a capire anche quali sono i limiti su cui lavorare a livello mentale, perché è lì il punto focale. Se sei allenato anche con “la testa” a stare molte ore in montagna, riesci a capire meglio come spendere le tue energie al meglio. Ovviamente se sei agli inizi devi muoverti progressivamente: se fai una gara da 20 km, la prossima deve essere magari di 40 o 60, e solo dopo ti avvicini verso le gare più lunghe. 

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 D – Parliamo dell’esperienza della Lavaredo…

R – Ogni gara ha una sua particolarità, e non è detto che l’allenamento ti garantisca per forza la performance. Quel giorno può succedere di tutto, puoi avere mal di pancia, puoi aver dormito male…insomma ci sono tanti fattori che ti portano a valutare soltanto la giornata di gara. Detto questo posso dire di aver iniziato la gara in maniera strana, sentivo che le gambe non andavano come volevo. Fortuna vuole che abbia un amico a cui devo molto, Emanuele Ludovisi, che mi da’ sempre ottimi consigli. E proprio lui mi aveva detto di dosare bene la prima parte, perché poi avrei avuto bisogno di “spendermi” meglio nei tratti successivi, e così è stato. Infatti, nella seconda parte della gara mi sono sentito meglio, le gambe e soprattutto la testa hanno cominciato a rispondere bene, e così ho portato a casa il risultato.

D – Come ti regoli con l’alimentazione? Ha seguito una dieta particolare?

R – No guarda, io ad esempio non ho neanche un nutrizionista che mi segue, perché ho imparato una cosa: oggi conosco cosa mi fa bene e cosa mi fa male, e cerco un equilibrio in ciò che mangio che mi porti soprattutto a stare bene. Certo, sto attento, evito condimenti abbondanti, scelgo bene cosa mangiare e cosa evitare, ma vado molto a “sensazione”. Lo so che è un discorso particolare, ma per me funziona così. Cosa faccio prima di una gara? Al massimo cerca di “caricare un po’ di più sul carboidrato, magari mangiando più pasta anche a cena. Evito carne e proteine in generale, che invece riservo per il dopo gara, per “ricostruire” quella fibra messa a dura prova da una fatica importante come una Ultra.

D – Quali sensazioni regala una gara Ultra come quella di Lavaredo?

R – Io dico sempre: “quando finiscono le gambe, inizia la testa” anzi, aggiungerei che “inizia anche il cuore”, perché da quel momento in poi, è la volontà a fare la differenza, a portarti fino alla fine, a darti spinta ed energia. Ti dirò di più: è bello quando subentra la “testa”, perché è lì che inizia il viaggio vero e proprio. È in quel momento che partono le vere emozioni, perché poi quella condizione ti porta a vivere tutto diversamente. Qui nascono amicizie serie e durature anche solo per aver fatto alcuni tratti di Ultra insieme, conosci persone fantastiche e vivi la gara grazie alla spinta data da cuore e testa. Quando ti capita di condividere certi momenti, anche per 4-5 ore, in quelle condizioni, nasce qualcosa di davvero speciale. Proprio come quando fai un viaggio, le persone che sono con te diventano speciali.

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